REFERENDUM 2020 Le ragioni del sė
17 Settembre 2020
di FILIPPO PIZZOLATO
Ci sono tre ragioni per votare "sì" al referendum costituzionale del 20 e 21 settembre.
"Sì" perché si tratta di una riforma parziale, non troppo ampia, trasversalmente condivisa tra le forze politiche (benché ora molte delle stesse furbescamente tentino di sabotarla), che avrà effetti limitati, ma potenzialmente positivi e comunque non deleteri come, con enfasi davvero teatrale, è stato da qualcuno detto e scritto.
"Sì" perché intanto questa riforma prende atto di una modifica già avvenuta nei circuiti plurali della rappresentanza politica, entro cui il Parlamento non è più il luogo centrale e tendenzialmente esclusivo della sintesi politica e della produzione legislativa, ma uno dei livelli della rappresentanza stessa, affiancato da una dimensione europea, regionale e locale. È un errore grave quello di impostare questa campagna come l'alternativa tra il "Sì" a una riforma parziale e il "No" interpretato come pretesa fedeltà alla Costituzione. Con l'involuzione ormai drammatica - questa sì! - conosciuta dai partiti politici, la rappresentanza non è più, già ora e non da poco tempo, l'istituto di rispecchiamento del pluralismo sociale che i costituenti avevano progettato, ma una sua manipolazione, tutta rappresa nella sfera autoreferenziale del potere. I partiti, anche i piccoli, dalla cui eventuale mancata rappresentanza si teme che possa derivare un vulnus di pluralismo politico, non sono affatto espressione di autentici e vitali mondi sociali, ma lo strumento, spesso agitato a scopo ricattatorio, di leadership narcisistiche incapaci di coesistere entro un progetto politico più ampio e socialmente più sensato.
"Sì" perché questa riforma, pur parziale, manda un segnale, forte, alla classe politica nella direzione di una maggiore autorevolezza nella selezione dei rappresentanti. Un segnale che va nella direzione, dunque, non della mortificazione del Parlamento, ma del recupero di un suo ruolo, indissociabile dal ripristino di canali fluidi e vitali di partecipazione sociale e politica. Si tratta certo di una speranza, non di una certezza, nella consapevolezza però che solo toccata nel vivo della distribuzione delle rendite politiche la classe politica potrà avviare un processo di profonda autoriforma. Tutti noi sappiamo che sarebbe stato preferibile procedere attraverso una disciplina legislativa attuativa dell'art. 49 Cost., che andasse nella direzione di imporre la democraticità interna dei partiti, anche nel momento, cruciale, della selezione delle candidature. Ma - domando - era realistico pensare che i partiti si facessero espugnare subito nella cittadella del loro potere oligarchico? L'inconcludenza di un dibattito durato decenni conferma che occorre tentare una manovra, per così dire, di aggiramento che, riducendo il numero dei parlamentari, segnali la necessità e il senso di una maggiore cura e di una maggiore responsabilità nella loro selezione. Se anche stavolta i partiti risulteranno sordi a questo potente appello, allora varrà il significato punitivo, e più banale, del "Sì" referendario: e cioè il semplice taglio di tanti inutili yesmen.
Se infine qualcuno fosse spaventato dall'incertezza che l'eventuale "Sì" referendario potrebbe generale, varrebbe la pena sottolineare che questo stato di precarietà persisterebbe comunque, in tutti i suoi profili, anche se prevalesse il "No": quale legge elettorale? quale riforma elettorale? quale senso della mediazione rappresentativa? Avremmo solo perso una propizia occasione per dare innesco a un possibile processo riformatore.